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Sabino Civita
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La Fine di Atlantide - Capitolo 1 Empty La Fine di Atlantide - Capitolo 1

Ven Feb 16, 2024 2:29 am
1. Mattina. Dove il Nostro, prima di avviarsi alla diuturna fatica, si rifocilla,
ascolta due tangheri parlar di altri tangheri, conta le signore presenti e riflette sull’umana vanità



“Acido suono, sento solo te, sento solo te, il resto che cos’è?”
Prozac+, Acido, acida, Acida, 1998



Comincia a fare caldo, la piazzetta antistante il bar è piena di gente che fa colazione, al tavolo vicino al mio due uomini stanno parlando ad alta voce e ascoltarli mi disturba, ma non abbastanza da smettere. Sono due tizi sulla trentina, uno con la coda stile Fiorello prima release, l’altro non gli vedo la faccia, è di spalle. Sembrano operai, lavoratori edili, entrambi sulla trentina o poco più, in attesa di iniziare la giornata dopo aver fatto colazione. Facciamo tutti colazione nel dehor, che significa tavoli da birreria e panche disposte sul marciapiede della piazzetta rionale in periferia. Una periferia bene, però, poche case popolari, nelle vie interne villette bifamiliari. Più avanti, da vialetti che portano a nascoste ville cintate e che costeggiano la strada principale che si inoltra per qualche chilometro sino al Ponte di Barche ogni tanto escono Porsche, Maserati, anche un'Aston Martin. Quello con la coda si toglie gli occhiali da sole con una mossa studiata per sottolineare quel che dice, ovvero quanto siano sporchi, sporchi e marrani gli arabi. Marrani, dice proprio così. Ci mette tutta l’intenzione.
«Marrani», ripete a pappagallo Di Spalle, distrattamente affascinato dall’affettazione del compare. Poi, visto nel compare i segni di chi si aspetta maggior partecipazione, aggiunge con più trasporto: «Davvero, porca troia se lo sono!» Poi trangugia il suo fondo di cappuccino e si gira dalla mia parte. Non ho voglia di sapere che faccia abbia, mi sta bene non saperlo. Appena in tempo abbasso lo sguardo sulla Gazzetta. Pare che quest’anno la Ferrari vada forte.
In sottofondo l’altoparlante che il bar piazza all’esterno sta passando alla radio i Prozac+, Acido Acida. Di fronte ai tavoli all’aperto c’è un parcheggio riservato alle moto. Ne conto sette, di cui sei sono scooter. L’unica moto vera è una Honda Hornet blu elettrico, primo modello, del 1998. Fra tutti i presenti io sono l’unico seduto da solo. Allora comincio a contare le donne sedute: undici. Poi quelle in piedi: due, ma una è la cameriera e non so se farla valere, se devo contarla. Il disorientamento di questa vana incertezza me lo porterò dietro per tutta la mattina, me lo sento. Insomma, la cameriera - castana, minuta pelle bianchissima, capelli corti tagliati asimmetrici, belle tette ma col possibile tranello di essere un falso dovuto al reggiseno - è qui sempre, non può stare che in piedi visto che porta ai clienti caffè, ginseng, brioches e succhi d’arancia. La vedo spesso, quasi ogni mattina ultimamente. Se non c’è la mattina, fa il turno al pomeriggio, ma raramente. Conta? Insomma, lei qui ci lavora. Ci dev’essere per forza. Ma se non ci fosse nessun’altra donna tranne lei, domani dovrei contarla? La cameriera - è qualche giorno che mi fermo a guardarla - è obbligata a stare qui. Quindi se ci fosse solo lei, nessun’altra donna, ogni mattina, per tutte le mattine, non sarebbe come se non ci fosse? Devo escluderla dal mio novero per questo? Non dovrebbe contare per me, giusto?  
«Insomma», ricomincia Fiorello, che ha un forte accento sardo, «Le cose stanno così: se sei negro, nero, voglio dire, uhm, di colore, già mi rompi le palle. Se sei negro e musulmano, allora...»
Lascia in sospeso il concetto solo un istante, ma è abbastanza, e allora Di Spalle riesce di nuovo a inserirsi. «I peggiori però sono gli arabi, lascia stare. Quelli là invece mica erano negri. Cioè quello, quello lì in Francia… mmh… lui era…» Lo sforzo di ricordare nella voce è pesante.
«Comunque quello non era un negro. Quello era arabo, nato qui, cioè… nato lì… ma arabo. Capisci? Nah… I negri stanno a posto. Quelli non fanno queste cose. Mai avuto problemi coi negri, io. Ci ho lavorato assieme, anche quando sono musulmani, lo ricordi quello che stava con noi al cantiere del...»
«Nah, i cinesi. Gli unici, ma proprio gli unici a farsi davvero i cazzi loro, che davvero non rompono mai i coglioni sono i cinesi. Hai mai sentito di un cinese che si fa saltare in aria? Che ammazza qualcuno? Stanno sempre fra di loro e quando muoiono…»
«Sì, però mangiano i pipistrelli, i cinesi. E i cani, e altre bestie che ci sono da loro. E poi si creano tutte quelle malattie che… io l’ho avuta e avevo anche visto un film, ma fatto bene, che… Aspetta… Non ricordo come si chiama, c’era quella bionda figa, americana, che ha fatto anche Iron Man, ma lì era rossa… E hanno sempre soldi, stanno meglio di noi. Si stanno comprando tutti i negozi, i bar. E non si capisce dove li prendano, tutti ‘sti soldi. Vedrai che si comprano anche questo bar qui. Io…»
Perdo finalmente interesse per la conversazione. Perdo interesse per tutto qui, adesso. I due edili, che hanno capito tutto e non hanno capito un cazzo, la Gazzetta aperta sulla pagina dei motori, gli arabi, i cinesi, gli africani, i terroristi, le moto. Tutto quanto. Mi passa davanti la cameriera dalle belle tette, a braccia basse, col vassoio vuoto in mano che segna il passo. Dalla radio adesso arriva la voce di una cantante italiana, credo si chiami Noemi o Annalisa, una di quelle che non hanno il cognome e che vengono da un talent show inclusivo. Tutto deve essere inclusivo. La voce è bella, ma la musica è banale e il testo irritante - ma inclusivo. Il mio fastidio aumenta, ma la canzone c’entra solo in parte. Improvvisamente infatti comincio a patire anche il caldo, il cicaleccio della gente che fa colazione, la sirena di un’ambulanza; e mi chiedo perché venga qui tutte le mattine a prendere un caffè, leggere il giornale, ascoltare la gente e contare le moto e le ragazze, e se serva a qualcosa. Mi sono svegliato senza particolari aspettative, questa mattina, ed ero assolutamente neutro verso il mio futuro e quel che sarebbe potuto accadermi oggi. Ora invece non è più così, sono preda di ogni genere di dubbio, tutte le sorte di preoccupazioni mi paiono incombenti realtà malevoli pronte a realizzarsi - nonostante l’oroscopo della Gazzetta mi dia un 7+ e mi prometta una giornata positiva per viaggi, colloqui e rapporti interpersonali, senza riuscire a tranquillizzarmi. Sono quindi nervoso, ora; irritabile, quasi di umor nero. Mi consulto ancora una volta con me stesso per capirne la ragione vera, se ce n’è una e se possa essere nei discorsi che ho udito da quei due o per la luce troppo forte di questa mattina, che mi ferisce gli occhi. Poi realizzo che non c’è nessuna ragione da capire, per nessuna di queste cose, e mi cheto.

Ieri è stato sventato un presunto attentato terroristico. L’aggettivo “presunto”, nonostante i fatti già accertati, è la prima parola, la chiave dei titoli dei giornali. Gli attentati terroristici sono ridiventati di moda fra i media, in mancanza di virus; così un tizio, il solito, monotono salafita, cittadino belga, seconda generazione di immigrati di religione islamica, ha cercato di entrare al consolato francese di Bruxelles con indosso una specie di cintura esplosiva fatta in casa, che per qualche motivo non ha funzionato. Anche il soldato francese di guardia è stato fermato ed è sotto inchiesta per aver colpito in faccia l’attentatore della domenica col calcio del suo obsoleto Famas F1 5.56 NATO (ai piantoni dei consolati danno qualunque porcheria) abbastanza volte da mandarlo in coma. Come sempre il mondo della rete è in subbuglio, i social insorgono; a ruota i giornalisti pure, ché senza consultare Twitter, X, quel che è, i giornalisti ormai non sanno neppure trovar la forza di andare di corpo.
Perché tanta ferocia? Dopotutto la bomba non è esplosa, giusto? I militari sono tutti fascisti? I francesi razzisti? I musulmani tutti terroristi? Certo che no! Cosa c’entrano i migranti e in particolare i migranti musulmani se lui, l’attentatore, come voi dite, era belga? Era depresso? Quanto è stato provocato o prevaricato dal suprematismo bianco per arrivare a tanto? Dobbiamo fare di più per migliorare l’integrazione dei musulmani di seconda generazione? Le moschee in occidente sono tutte covi di terroristi e gli imam tutti reclutatori dell’Isis? E se non tutti, quanti? E tanti o pochi che siano, quali? Come riuscire a distinguerli senza apparire per questo razzisti?
Chi cazzo se ne frega. Sono in ritardo, chiudo la Gazzetta davanti a me e mi alzo.
«Vi odio. Tutti» dico, parlando piano ma chiaramente mentre passo fra la gente accalcata di fronte alla cassa per pagare, e sono sicuro che qualcuno mi abbia sentito. Ma forse no, nessuno ascolta, mai. Non me ne importa niente.
Tocca a me. Pago, esco. Mi aspetta un intervento fuori città, se mi va bene potrei farci cinquanta euro, forse settanta. Che peraltro mi farebbero comodo, devo comprare inneschi e palle del .357. E nella bottiglia di Wild Turkey ne sono rimaste sì e no due dita.

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